The original Blue Stuff
9 Maggio 2017Blue Stuff – live report
Presente quando non vai da tanti anni in bicicletta e ci rimonti sopra? Non te lo dimentichi e dopo qualche pedalata cominci a prenderci davvero gusto, riscopri la gioia di pedalare e ti senti padrone della bicicletta e provi davvero piacere a farlo. Ecco, i Blue Stuff originali si sono riuniti dopo almeno 20 anni e hanno riproposto la loro musica con l’entusiasmo e la facilità con cui un ciclista esperto rimonta in sella dopo anni che non pedala. Sono bastati pochi minuti durante il soundcheck per ritrovare quella facilità di dialogo, quell’intesa e quella padronanza dei propri mezzi.
Il suono si fa subito compatto e maturo, le chitarre si trovano a meraviglia, il pianoforte fa da collante tra sezione ritmica e strumenti solisti; basso e batteria rappresentano una delle migliori sezioni ritmiche che si possano sentire oggi tra le blues band nostrane.
Per intenderci il sound è quello delle grandi blues band bianche di fine anni 60 e 70, Canned Heat, Creedence Clearwater Revival, The Blues Band, Crowbar, Downchild Blues Band, Paul Butterfield Blues Band… etc. etc. Il suono è colto e loro sono una macchina da “boogie e shuffle”.
Poi, hanno utilizzato quei suoni e quei ritmi scrivendo versi in dialetto napoletano. Ecco allora che Afragola diventa New Orleans e il fiume Lagno il Mississippi, Frankie and Johnny Gennaro e Pasquale e via dicendo.
Il blues dei Blue Stuff è così alla portata di tutti, i loro ritornelli sono cantati dal pubblico e nelle storie raccontate spesso ci si ritrova. In questa maniera i Blue Stuff hanno anche il merito di avvicinare al blues anche chi non lo conosce e molti giovanissimi.
The original Blue Stuff sono Mario Insenga (voce e batteria) Guido Migliaro (voce, chitarra e armonica) Enzo Caponetto (voce e chitarra) Renato Federico (piano) e Mino Berlano (basso) e questa è la formazione originale.
A dire il vero negli anni i bassisti si sono alternati e Gennaro Pasquariello è quello che vanta il maggior numero di presenze, ma comunque Mino Berlano ha suonato con i Blue Stuff per molto tempo e si sente.
L’occasione di riascoltarli insieme è al Teatro Bolivar di Napoli dove si è riunita proprio la formazione originale, quella del 1982, quella da centinaia di concerti l’anno, che ha suonato al Montreaux Jazz Festival, quella invitata al festival di New Orleans, quella che Edoardo Bennato scelse per accompagnare il suo alter ego Joe Sarnataro: insomma una delle migliori (se non la migliore) espressione di blues elettrico che Napoli abbia espresso negli ultimi 30 anni.
Il concerto è bello, i Blue Stuff è come se non avessero mai smesso di suonare insieme e l’esperienza maturata in questi anni di separazione li rende ancora più padroni dei loro mezzi, si possono davvero permettere di suonare brani di altri come, se non meglio di, tante band americane o inglesi famose. Inoltre sembrano avere ritrovato la gioia di farlo insieme, si divertono, le chitarre si inseguono, si alternano le voci, ognuno ha il giusto spazio e per un’ora abbondante ascoltiamo le canzoni che i Blue Stuff amano.
E così, per più di un’ora nessuna concessione ai brani in napoletano che li hanno resi famosi, ma tante versioni di brani blues più o meno noti come My Crime dei Canned Heat cantata da Mario, Boom Boom di John Lee Hooker cantata da Guido, Folsom Prison Blues di Johnny Cash cantata da Enzo. I momenti migliori del concerto sono una caldissima versione di It’ll be me, brano reso famoso da Jerry Lee Lewis, trasformata con uno splendido arrangiamento in una ballad lenta per sola chitarra ed armonica, una energica versione di Today I started lovin’ you again di Merle Haggard riarrangiata in chiave shuffle come avevano già fatto Bobby Blue Bland e Junior Wells, ma con grande personalità.
Proprio questa scelta di suonare dei classici dimostra quanta sia la voglia dei Blue Stuff di suonare insieme, di confrontarsi sui brani che li hanno formati e che amano. Insomma nessuna concessione ad una facile autocelebrazione, nessuna routine o operazione commerciale. E’ proprio questa la forza del concerto, e loro sono ancora più bravi che in passato, quando vogliono suonare gli standard riescono a farli loro, con arrangiamenti intelligenti.
C’è spazio per tutti, le voci si alternano, Renato al pianoforte è davvero un bravissimo solista e fa da collante su tutti i brani. Loro si conoscono a memoria, non c’è alcun bisogno che si guardino o si parlino, ci sono 35 anni di esperienza in ogni nota e tutti sanno perfettamente quando entrare e quando farsi da parte.
Mi ripeto: ma è davvero raro un sound così compatto, così colto e così rispettoso dei canoni blues come quello degli original Blue Stuff.
La prima parte del concerto è proprio una piccola lezione di blues elettrico con i protagonisti che si divertono e si trovano a meraviglia. La reunion non è un’operazione commerciale, ma l’occasione per suonare insieme e vi assicuro che si sente.
Poi, viene anche la volta dell’autocelebrazione e il concerto prende un’altra piega. Sì perché il pubblico vuole sentire i brani che li hanno resi famosi e i Blue Stuff propongono i loro blues in napoletano. Qui si sente maggiormente l’esperienza e il pubblico risponde. Mario Insenga approfitta per invitare alcuni amici/ospiti che salgono sul palco e il concerto diventa una festa.
I ragazzi di Secondigliano (che li seguono da sempre), ballano con Mario e rispondono ai cori, Gianpaolo Feola prende il posto di Mario alla batteria, Tommaso Bruno canta un brano con Mario e Giancarlo Bobbio diventa bassista.
E’ il momento di “E’ asciuto pazzo o’ padrone”, “sotto o’ viale Augusto che ce sta” e “Fuje Pascalì”. Il teatro Bolivar diventa come una birreria, il pubblico si alza in piedi, balla e canta divertito e d’improvviso ritorniamo a 20 anni fa, quando le serate dei Blue Stuff erano l’occasione per ritrovare gli amici e bere una birra.
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